Da oltre quattro anni si discute del progetto Sogin per la realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi.
Fino ad oggi, dalla pubblicazione della CNAPI, Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee ad accogliere il Deposito Nazionale, si è assistito all’ attuazione graduale del programma Nazionale di Smaltimento dei Rifiuti Radioattivi, che ha visto come primo atto proprio la pubblicazione della CNAPI, il 5 gennaio del 2021, cui ha fatto seguito la Consultazione Pubblica, culminata con il Seminario Nazionale, e, infine, la proposta di CNAI.
Oggi la proposta di CNAI, la Carta Nazionale delle Aree Idonee, è sottoposta al vaglio della Commissione Via Vas del MASE per la procedura di VAS, che determinerà in maniera definitiva quali e quanti territori avranno i requisiti giusti per far parte del gruppo dal quale dovrà uscire il sito che accoglierà nel Deposito Unico dei Rifiuti Radioattivi e nell'annesso Parco Tecnologico, i 95.000 mc di materiale radioattivo prodotto sul territorio nazionale.
Il Seminario Nazionale, che doveva rappresentare un punto di incontro e di confronto fra le parti interessate, Sogin da una parte e i rappresentanti dei territori coinvolti nella CNAPI e le istituzioni interessate dall’altra, è miseramente fallito.
Il Seminario, ridotto ad una farsa non ha in nessun modo rappresentato un punto d’incontro fra la parte proponente, Sogin, e i territori indicati nelle proposte ed ha dato la stura ad una serie di ricorsi amministrativi dei quali si attende l’esito.
Nelle more il processo va avanti ed ad oggi sul piano della discussione resta ancora invariato il piano Sogin, che continua imperterrito il suo percorso attuativo.
Tuttavia molto è cambiato dall’inizio della vicenda: si assiste ad una progressiva presa di coscienza delle popolazioni dei territorio, che dimostrano una crescente contrarietà al progetto, mentre sul versante tecnico l’opposizione si è consolidata sulle risultanze di una enorme quantità di pareri tecnici, studi e consulenze che hanno dimostrato la fragilità della progettualità di Sogin e l’obbiettiva incompatibilità con le caratteristiche dei territori prescelti.
La politica, tutta, ha maneggiato finora con molta prudenza il problema.
Da una parte bisogna rispondere alle direttive europee in materia, che prevedono che ogni stato membro si occupi della gestione e della smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti sul proprio territorio, dall’altra non si può trascurare la protesta montante delle popolazioni investite dal problema.
Le maggiori critiche riguardano la scelta progettuale di concentrare in un’unica sede tutti i rifiuti radioattivi, a prescindere dalla qualità, con la conseguenza che nello stesso deposito verrebbero inclusi sia i rifiuti a bassa, molto bassa e media attività, che rifiuti ad alta attività. Questo rappresenta il maggiore vulnus del progetto, in quanto scorie ad alta attività che devono essere smaltite in depositi geologici di profondità, verrebbero incautamente custodite in un deposito di superficie, come quello progettato, idoneo esclusivamente per i rifiuti a bassa e media attività.
La tesi di Sogin, secondo la quale si tratterebbe di mantenere nel Deposito Nazionale le scorie ad alta attività per un periodo temporaneo di lunga durata, 100 e passa anni, non esclude affatto il rischio dell’operazione, che vedrebbe almeno tre generazioni di cittadini esposti al rischio di eventuale contaminazione, aggravato dal lunghissmo periodo necessario al conferimento delle scorie nel deposito. Occorrono 40 anni per completare il trasferimento dei rifiuti, con otto carichi giornalieri nei primi venti anni e 1 al giorno per gli ulteriori venti. La fase di trasferimento è considerata una delle più rischiose.
A tutto questo si aggiungono altri fattori di notevole rilevanza ai fini dell’accettazione della proposta: non sono ancora stati evidenziati concretamente i rischi sanitari ed ambientali per la popolazione, non sono stati valutati i danni economici, per i quali si prospettano compensazioni incerte, e comunque non correlabili ai danni derivanti al tessuto economico e sociale, specie per i territori la cui economia affonda le sue radici nell’integrità e ne rispetto dell’ambiente, come l’agricoltura e il turismo.
La politica gradualmente si è avvicinata alle tesi dei territori, e, in particolare per quanto riguarda la Provincia di Viterbo che detiene il record assoluto dei siti papabili, (21 sui 51 dichiarati), va evidenziato che la Provincia e la Regione Lazio si sono ufficialmente espresse contro la progettualità Sogin e hanno proposto ricorsi al TAR Lazio per contrastare la metodologia di scelta delle aree idonee, la mancata possibilità di acceder agli atti alla base delle scelte sui siti e quant’altro. Lo stesso hanno attuato i Comuni e tutti i Comitati, le associazioni e i Biodistretti della provincia di Viterbo.
Il Governo ha da mesi cominciato a valutare la crescente protesta dei territori ed anche a prendere in considerazione le analisi tecniche prodotte dagli stakeholder, i quali non si sono limitati a contrastare le proposte di Sogin, ma hanno anche indicato soluzioni tecniche previste dalle normative in vigore e seguite nella maggior parte delle nazioni europee investite dal problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi.
In particolare hanno indicato nella Guida Tecnica 30 le possibili soluzioni, fra le quali si prevede la possibilità di lasciare in sicurezza le scorie nelle sedi delle vecchie centrali, nei siti temporanei ritenuti più adeguati o in siti militari dismessi, se idonei.
Occorre al riguardo anche sfatare determinati assunti: l’Europa non ha mai imposto la scelta tecnica del deposito unico dei rifiuti radioattivi, cavallo di battaglia di Sogin, ma ha soltanto imposto lo smaltimento sul territorio nazionale delle scorie lasciando ovviamene ai singoli stati le scelte tecniche più adeguate e conformi alle direttive nazionali ed internazionali correlate.
Va anche preso atto che il problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi in Europa si va ingigantendo progressivamente: dovranno essere smaltiti qualcosa come 6,6 milioni di mc di materiale radioattivo con costi esorbitanti, che si attesterebbero a cifre astronomiche, variabili dai 300 ai 900 miliardi euro. Tutto questo in aggiunta al fatto che oggi in Europa nessuno stato è dotato di un sito geologico di profondità per le scorie ad alta attività, quelle appunto in maggioranza derivanti dallo smantellamento delle centrali obsolete. Il deposito geologico è attualmente la scelta considerata ottimale per lo smaltimento delle scorie ad alta attività, che necessita di tempi biblici, variabili da 30.000 a 900.000 anni.
Soltanto la Finlandia si sta attrezzando al riguardo e sarà in grado di inaugurare a breve il suo deposito di profondità.
Facendo un banale paragone, l’Italia che deve smaltire le scorie derivanti dalle sue vecchie 4 centrali, che producevano soltanto 1460 megawatt di potenza, nulla in confronto ad esempio rispetto alla Francia che ha centrali per 26.000 MW, si appresta a spendere alcuni miliardi di euro.
Il problema è talmente complesso dal punto di vista tecnico e gravoso finanziariamente, che due grandi nazioni europee, Germania e Spagna sono recentemente uscite dal nucleare, anche in relazione alla difficoltà di sostenere l’urto del problema dello smaltimento in sicurezza delle scorie.
Il complesso di questi problemi sta man mano assurgendo alla cronaca e alle coscienze delle popolazioni e dei politici, sia di rango locale che nazionale, stimolati sempre più dalle pressioni degli stakeholder e dalla quantità di analisi e controdeduzioni tecniche che vengono in continuazione pubblicizzate nelle varie sedi di discussione pubblica o istituzionale.
Il Governo ha cercato recentemente di mettere mano al problema, tenendo conto della realtà sociale e della montante protesta dei territori, ed ha provato con il decreto sulle autocandidature a ribaltare il problema, ponendo la scelta in mano a territori eventualmente interessati all’accoglimento del deposito unico, anche se fuori dalle indicazioni fin qui fornite da Sogin, salvo verifica della idoneità alla bisogna. Nessuno si è fatto avanti, tranne Trino Vercellese con un abortito tentativo di autocandidatura subito cancellato dalla protesta dei territori interessati.
Il Ministro Pichetto Fratin, a più riprese, ha affrontato l’argomento, proponendo varie possibili alternative, fra le quali la realizzazione di depositi multipli, fino a dire che la carta della aree idonee poteva essere considerata superata.
Le considerazioni sono giuste e lascerebbero intravedere una base di dialogo che porterebbe i territori a vedere accolte le considerazioni di base della protesta tecnica al progetto Sogin. Tuttavia, tali affermazioni per poter avere un’applicazione pratica dovrebbero essere formulate in maniera tecnicamente adeguata e supportate da provvedimenti legislativi, in grado di modificare l’iter fin qui seguito e che risponde ai dettami del DL 31 del 2010 e ss mm ii.
Alle aperture del Ministro si contrappongono le iniziative dei sostenitori del deposito unico, come unica soluzione al problema della sicurezza nucleare, e fautori al tempo stesso, proprio grazie alla soluzione del problema delle scorie, di un anacronistico e inopportuno ritorno al nucleare, come fonte di energia. Piano sul quale hanno già segnato un’importante vittoria in sede europea, che ha riconosciuto l’energia nucleare come “ rinnovabile” e pertanto suscettibile di tassonomia specifica, quale patente di apertura ai finanziamenti del caso.
Allo stato attuale, quindi, al di là delle aperture segnalate, la situazione resta quella che è: l’attuazione del progetto Sogin va avanti, e il MASE sta procedendo, come previsto dalla citata legge, all’ applicazione della procedura di VAS nei confronti della proposta della CNAI, la carta Nazionale delle aree Idonee ad accogliere il Deposito Unico.
Per quanto riguarda il Lazio, i 14 Comuni interessati dalla CNAI, la Regione Lazio e la Provincia di Viterbo, in quanto SCA, soggetti con competenza ambientale, sono impegnati nella prima consultazione al riguardo, cui seguirà una seconda consultazione alla quale parteciperanno anche gli stakeholder, rappresentati da Associazioni e Comitati.
Valutare l’arco temporale necessario ad arrivare ad una conclusione della vicenda è obbiettivamente difficile: si parla del 2029 ,come termine ultimo per la scelta definitiva del sito del Deposito Unico, e del 2039, come data di entrata in esercizio.
Al di là del fatto che la previsione sembra destinata a variazioni nella direzione di un prolungamento dei termini indicati, è evidente che il problema sarà in futuro valutato almeno attraverso ulteriori tre legislature e teoricamente potrebbero verificarsi modifiche, anche sostanziali, in materia.
Ma tutto è indefinibile, posto che se si valuta quanto accaduto finora, si deve constatare un sostanziale adeguamento dei governi che finora hanno maneggiato il problema alla linea di condotta prevista dalla legge 31 del 2010 e al progetto proposto da Sogin.
Se è giusto che su temi di ordine generale, come questo di cui trattiamo, l’attività di governo debba adeguarsi ad una continuità, necessaria a portare a termine un programma di lunga o lunghissima attuazione, uniformando sulla stessa linea i futuri assetti politico-governativi, tuttavia la ragionevolezza della protesta in atto potrebbe condurre a modifiche tese a rendere sostenibile la scelta definitiva.
In questa direzione, il buon senso porterebbe a prendere in considerazione quanto oggi è disponibile anche sul piano normativo. In particolare, le opzioni della Guida Tecnica 30 di ISIN, aprono la strada ad opzioni diverse dal progetto del Deposito Unico, consentendo già da oggi quei cambiamenti di direzione, che una volta stabilita la CNAI non saranno più possibili o quanto meno saranno difficilmente messi ulteriormente in discussione.
Questa fase, quella cioè che riguarda l’applicazione della procedura di VAS che porterà alla CNAI definitiva, rappresenta uno step cruciale dell’attuazione del Programma Nazionale di smaltimento dei rifiuti radioattivi, ed è in questa fase che occorre orientare lo sforzo maggiore per tentare di far cambiare idea al Governo, senza compromettere del tutto il significato del programma ed essendo ancora in tempo per modificare il progetto. Oggi non è stato ancora identificato il sito definitivo né sono stati messe in atto le azioni conseguenti che implicano anche impegni economici di grande rilevanza, in aggiunta alle ingenti spese fin qui sostenute soltanto per la fase preliminare.
Occorre mettere in atto quelle scelte di buon senso, che larvatamente anche il Governo sembra disposto quanto meno a discutere.
Vedremo, prima della fine della legislatura, come evolveranno i fatti e di quali atti concreti il Ministro si farà promotore.
Obbiettivamente la posizione del Ministro è difficile: dare continuità ad un progetto di interesse nazionale, tenendo conto delle aspettative del sistema economico correlato che non può che spingere per il progetto annunciato e sul quale ha cominciato a predisporre le proprie iniziative, tenere in considerazione i territori ed il consenso indispensabile per una politica che vuole mantenere o migliorare i risultati elettorali raggiunti, valutare in maniera indipendente e razionale quanto accade e le necessarie modifiche che la logica potrebbe indicare, rappresentano gli scenari sui quali riflettere di volta in volta. In questo senso non ci si può che augurare che il buon senso prevalga, partendo dalla considerazione che l’unanime contrapposizione a livello nazionale alla progettualità di Sogin rappresenta una realtà con cui confrontarsi e che obbiettivamente le ragioni del no sono fondate su dati tecnici assolutamente validi.
Sul versante opposto, quello dei territori, le iniziative vertono su tutti i fronti possibili: sociale, tecnico, giudiziario, politico.
La consapevolezza della situazione , i rischi connessi all’allentamento della pressione sulla politica e della continuità dell’informazione e dei rapporti con i territori, la presa di coscienza dei limiti anche temporali per iniziative di contrasto previste dall’art 27 della Legge 31 citata, inducono gli stakeholder ad un potenziamento delle iniziative in questa fase storica.
Si attraversa una fase cruciale: perdere la battaglia sulla CNAI, significa compromettere il futuro e vanificare quanto finora attuato.
L’approccio diretto al Governo rappresenta uno degli obbiettivi prossimi di maggiore interesse: l’audizione alla Camera, l’apertura di tavoli tecnici ed in sostanza di un dialogo diretto a viso aperto con l’Istituzione sono i progetti concreti sui quali ci si dovrà impegnare.
Questo nella consapevolezza che, stando all’art 27 della legge 31, da un fase in poi tutto sarà reso vano dal divieto di Stato di interferire sul programma.
Pertanto, i tempi sono da considerare comunque stretti e, al di là della celebrazione dei ricorsi innescati, qualsiasi tentativo di dialogo con il Governo deve essere tentato affinché il buon senso prevalga.