Mentre alcune fra le più i portanti Nazioni della UE, come Germania e Spagna, abbandonano il nucleare, l’Italia mostra preoccupanti segnali di tentennamento nei confronti di una ipotetica marcia indietro rispetto ai risultati dei due referendum storici sul nucleare, in base ai quali il nostro paese era ormai fuori dal nucleare.
A partire dalle dichiarazioni di alcuni anni or sono da parte del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che auspicava un ritorno alla tecnologia nucleare per soddisfare le esigenze energetiche italiane e l’indipendenza dai combustibili fossili, l’argomento periodicamente si riaffaccia, grazie in particolare alle esternazioni della politica nostrana.
L’alternanza con cui l’argomento viene ripreso dipende da una serie di contingenze: la crisi energetica susseguente ai conflitti in corso e la lotta alla CO2 intrapresa solitariamente dalla UE, rappresentano attualmente i più gettonati riferimenti dei nostalgici del nucleare in Italia.
Le ragioni dei sostenitori sono abbastanza ovvie e ricalcano quanto sopra citato, mentre, fatta eccezione per alcuni appartenenti a partiti a forte impronta ambientalista, il fronte del no al ritorno al nucleare è piuttosto silente.
Il tema del nucleare, attualmente, trova anche un’altra sponda nelle iniziative governative intorno al problema dello smaltimento dei rifiuti nucleari. Nella fantasia della nostra politica, la realizzazione del Deposito Nazionale dei Rifiuti radioattivi potrebbe rappresentare un forte sostegno a favore del ritorno al nucleare in quanto in grado di rassicurare sui rischi connessi allo smaltimento delle scorie conseguenti e in genere alla corretta e sicura gestione dell’intero ciclo produttivo del futuro nucleare italiano.
Al di là di considerazioni ben più complesse che meriterebbe la scelta di un ritorno al nucleare in Italia, che andrebbe inquadrata nell’ambito di una visone internazionale del problema con ipotetiche connessioni di carattere industriale, economico, politico e bellico che qui non disquisiamo, non possiamo che considerare il problema da un punto di vista tecnico specifico, che è quello che condiziona senza alcuna possibilità di soluzione qualsiasi ipotesi di ritorno alla costruzione di centrali nucleari. Questo riguarda il problema dello smaltimento delle scorie ad alta attività che derivano dall’attività e dallo smaltimento delle centrali nucleari. Si tratta di scorie che decadano in tempi inimmaginabili se correlati alla nostra breve esistenza, che vanno da 30.000 anni a 750.000 anni. Fatto che denuncia la assoluta necessità di poter mantenere in sicurezza enormi quantità di materiale radioattivo in sicurezza per periodi di tempo ai quali neanche la più sfrenata fantasia degli scrittori di fantascienza potrebbe porre rimedio.
Inoltre, ad oggi l’unica soluzione al problema dello smaltimento delle scorie ad alta attività è rappresentata, stando agli esperti, dalla realizzazione di depositi geologici di profondità in un mantello roccioso adatto, e cioè impermeabile e non sismico. Resta solo un fatto: e cioè che al mondo attualmente non esiste alcun deposito di questo genere in funzione e che l’unico in fase avanzata di costruzione è in Finlandia.
Si tratta comunque di opere gigantesche, che oltre alla difficoltà insita nella possibilità di individuare un sito idoneo, sono gravate da costi di tale portata, che assommati alla progettazione e alla realizzazione di eventuali nuovi impianti nucleari, che peraltro hanno durata di 3-4 decenni, rendono la produzione di energia elettrica da nucleare assolutamente non competitiva con qualsiasi altra forma di generazione. L’introduzione del nucleare nella tassonomia europea e i supposti vantaggi in termini di inquinamento con particolare riguardo rispetto all’inquinamento da CO2 , vanno rivisti e ponderati rispetto al complesso del problema.
Sulla base di queste brevi considerazioni, la produzione di energia elettrica da nucleare, rappresenta una tecnologia obsoleta, costosa, rischiosa, di breve durata e con un futuro legato allo smaltimento delle relative scorie nucleari tutto da scrivere.
L’acuto ed ancora irrisolto problema dello smaltimento ha comunque scosso l’interesse della UE a partire dalla prima decade degli anni 2000, ed è grazie alla direttiva EU 74/2011 che tutti gli stati europei hanno dovuto mettere mano al problema dello smaltimento delle scorie radioattive. La Direttiva citata, infatti, obbliga i singoli stati a provvedere allo smaltimento in proprio e sul proprio territorio.
In Italia, siamo nella fase più calda della questione, in quanto siamo nel bel mezzo della procedura che porterà alla individuazione del sito che accoglierà il Deposito Nazionale unico dei rifiuti radioattivi. Procedura che entro al fine del 2025 dovrebbe aver designato lo sfortunato sito che accoglierà tutti i rifiuti radioattivi prodotti in Italia da qualsiasi fonte e che ammontano a 95.000 mc, di cui 17.000 ad alta attività.
Sono ben note le vicende che orbitano intorno al problema e che da questo sito sono state denunciate e ampiamente descritte e dettagliate a partire dal 2021. Oggi assistiamo ad un crescente fronte di opposizione al progetto del Deposito Nazionale Unico culminato con il ricorso al TAR Lazio oggi e alla Corte di Giustizia Europea in prospettiva da parte dei Comitati, delle Associazioni e dei Biodistretti della Provincia di Viterbo, al quale fa eco il ricorso posto in essere anche dagli enti istituzionali più rappresentativi: Regione e Provincia.
Se non possiamo non considerare ragionevole e necessario produrre un progetto di smaltimento dei rifiuti radioattivi in Italia, risulta difficile accettare soluzioni basate su procedure e valutazioni tecnicamente errate, sulla sottovalutazione dei rischi sanitari e di quelli economici per quanto riguarda in particolare le proposte di Sogin riguardo alla Provincia di Viterbo.
La politica italiana sembra ad oggi voler ignorare i rischi e i costi del nucleare e voler abbracciare l’ipotesi di un ritorno al nucleare di ennesima generazione, con affermazioni rassicuranti riguardo alla sicurezza.
La verità è insita in due brevi considerazioni: qualsiasi forma di produzione di energia elettrica da nucleare oggi risponde ancora alla tecnologia della fissione con tutti i problemi connessi e la proposta di piccole centrali dotate di SMR, Small Modular Reactor, impone in piccolo gli stessi problemi delle grandi centrali e non porta soluzioni al problema vero che è quello dello smaltimento delle relative scorie nucleari ad alta attività. Peggio ancora se, come ipotizzato da qualche politico poco informato, il piano italiano fosse quello di spargere sul territorio nazionale tante piccole centrali con piccoli reattori. In questo caso il problema non solo sarebbe diffuso ma la sommatoria dei rischi , dei costi e dei problemi di smaltimento risulterebbe progressivamente proporzionata al numero crescente degli impianti.
Risulta interessante scorrere le poche righe dell’articolo accluso, uno dei tanti che possono essere consultati sull’argomento e che, a prescindere della fonte più o meno tecnica e più o meno divulgativa, tuttavia tendono a rimarcare come il problema dello smaltimento resti ancora centrale e insoluto e rappresenti il maggiore ostacolo al ritorno al nucleare.
Un approfondito studio condotto in Europa sul problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi, è stato realizzato nel 2019 dalla deputata europea Rebecca Harms[1], con l’ausilio di scienziati del settore, e le parole conclusive sintetizzano nella maniera più efficace la realtà del problema:
“We can phase out nuclear power, but we cannot phase out the nuclear waste and its eternal risks”.( Possiamo eliminare gradualmente l'energia nucleare, ma non possiamo eliminare gradualmente le scorie nucleari e i suoi rischi eterni).
Angelo Di Giorgio