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COMUNI DELLA TUSCIA vs SOGIN: INIZIO DI UN DURO CONFRONTO

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La realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e dell’annesso Parco Tecnologico è preceduta da una enorme mole di documenti prodotti  dalla legislazione internazionale e nazionale, dai ministeri e dagli organismi coinvolti sulla base delle leggi e della normative vigenti, e infine dalla Sogin, società deputata alla dismissione delle centrali nucleari italiane e alla gestione delle scorie radioattive prodotte su tutto il territorio nazionale.

L’analisi della ridda di documenti collegati al progetto nel suo complesso è faticosa e complessa per la massa di normative di riferimento citate e continuamente prodotte a partire dalle direttive Euratom  2001/42 e 2011/70, che hanno sancito il principio per il quale ogni stato della Comunità Europea deve farsi carico della gestione deli rifiuti nucleari prodotti nel suo territorio nazionale a qualsiasi titolo.

Queste direttive hanno messo in moto la macchina statale italiana che, anche se con un certo ritardo, e con il tipico ricorso ad una serie infinita di  leggi ,leggine, provvedimenti, pareri tecnici e quant’altro , sta arrivando al dunque, cioè alla scelta del sito che dovrà ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. Sarà una sede unica di raccolta per tutto il territorio nazionale in cui confluiranno le scorie prodotte dal decommissioning delle centrali nucleari, e dai settori della medicina nucleare, della ricerca e dell’industria.  95.000 mc di scorie radioattive, di cui 17.000 ad alta attività, confluiranno in una unica sede e lì resteranno per un periodo minimo di 300 anni. Una parte, quella a  maggiore attività, sarà stoccata nel Deposito Nazionale fino a quando non si troverà un sito geologico di profondità, in Italia o all’estero in accordo con l’Europa,  dove questo pericoloso tipo di rifiuti dormirà per l’eternità, dato che occorrono migliaia di anni per il decadimento della sua radioattività.

La sensazione popolare, posto che la informazione è scarsa e la voglia di informarsi poco sentita almeno nelle fasi iniziali di presa di coscienza del problema, è comprensibilmente di allarme. Chi non ha sotto gli occhi i disastri di Cernobyl e di Fukushima di cui si ricordano oggi gli anniversari? Chi non ha , proprio oggi, richiamato alla memoria le paure instillate, e con ragione, in tutto il mondo da quegli incidenti nell’apprendere che a  Cernobyl il nucleo si è riacceso spontaneamente.

La sensazione generale nei confronti dell’energia atomica è di pericolo e questa sensazione non potrà mai essere del tutto eliminata dall’immaginario popolare, che una cosa ha ben  chiara: maneggiare il nucleare è difficile e pericoloso e comporta problemi che travalicano nella durata la vita di ciascuno essendo di fatto  destinati ad accompagnare le generazioni future per migliaia di anni.

Su questo sottofondo si innesta il problema della realizzazione del Deposito Nazionale. Man mano che le notizie circoleranno sempre con maggiore intensità, le popolazioni, specie quelle maggiormente a rischio per ospitare il Deposito, si affanneranno ad assumere informazioni, a cercare di capire meglio i problemi connessi, i rischi e gli eventuali svantaggi o vantaggi derivanti dalla convivenza con questa struttura.

Su questo piano si svolge la sfida fra residenti e il sistema che deve, per legge, identificare il sito e  realizzare e gestire l’impianto.

Il contenzioso che ne nasce si basa su due posizioni, entrambe comprensibili, da una parte la paura e l’incertezza derivate da una scarsa conoscenza degli aspetti tecnici e spesso da una insufficiente informazione, dall’altra la determinazione a portare a compimento l’opera, specialmente ora che l’ Europa, prodiga di sussidi per l’Italia, deve incassare il sollecito consenso del governo italiano nei confronti delle direttive della UE.

L’auspicio è che la fretta non comporti scelte sbagliate, dalle quali non si torna più indietro.

Le armi per discutere con Sogin sulle indicazioni  circa le aree potenzialmente idonee sono poche e difficili da maneggiare. Al momento la partecipazione alla Consultazione Pubblica che avverrà verso settembre è la prima tappa del confronto, che si presenta subito durissimo.  Occorre individuare gli elementi di debolezza della progettazione della Sogin e controbatterli, sperando di essere ascoltati e che la contesa si svolga secondo regole d’onore. Mentre per i cittadini o le associazioni sarà duro partecipare, dovendo produrre argomentazioni tecniche complesse e di spessore, sarà più facile per la Sogin eludere alcuni argomenti, glissare su alcune osservazioni, dichiararne la incongruità, mentre ancora non è chiaro chi poi sarà effettivamente invitato a partecipare al dibattito nel corso del seminario pubblico successivo alla presentazione delle osservazioni.

In linea generale le osservazioni possono vertere su tre argomenti: la correttezza dello svolgimento dell’iter seguito dalla Sogin in relazione alle normative vigenti, i criteri adottati per la individuazione dei siti possibili,  la metodologia adottata per la indicazione  e la classificazione delle aree potenzialmente idonee. Stando alla analisi della documentazione Sogin e dei pareri espressi dai Ministeri proponenti e da quelli coinvolti per legge, fra le tante incongruenze, appare irragionevole l’assenza della valutazione dei possibili impatti sulla salute umana e sull’ambiente in generale.  Impatti che tutti immaginano possano essere correlati all’inquinamento ambientale eventualmente prodotto dall’esercizio del Deposito e dalla sua permanenza per centinaia di anni nella zona prescelta.

Stando alla documentazione prodotta dalla Sogin il problema non esiste dal momento che si dichiara la insussistenza di rilascio ambientale. Quand’anche dovessero verificarsi problemi di qualsiasi natura, per eventi naturali o disfunzioni tecniche, tutto sarà sotto controllo. Fatto che era sbandierato anche quando esistevano in attività le centrali nucleari: nessun problema, si trattava di energia pulita a rischio zero. La realtà ha di dimostrato il contrario.Tutti sappiamo che il rischio zero non esiste e non esiste neanche nel caso dei depositi di scorie radioattive, ancorché si tratti di depositi privi di particolari attività. L’intenso numero di trasporti per conferire le scorie al deposito della durata di 30-40 anni, l’accumulo in un’unica sede di tutte le scorie  ad alta attività , pensiamo a quelle pertinenti a tutte le centrali atomiche  italiane dismesse, le attività di movimentazione ,assemblaggio e collocazione del materiale radioattivo nella sede del deposito, l’eventualità non prevedibile  di catastrofi naturali come terremoti , l’ammaloramento nel lungo periodo dei sistemi di contenimento delle scorie, dimostrato largamente anche in depositi già esistenti, il rilascio cronico in ambiente, rappresentano problemi reali. Problemi a fronte dei quali le rassicurazioni della Sogin appaiono deboli e ancorate a soluzione tecniche e ingegneristiche che non possono rappresentare la sicurezza assoluta. Questo ha fatto sì che molti aspetti di controllo ambientale in prospettiva siano stati elusi;  secondo la Sogin non c’è rischio di contaminazione ambientale, quindi non occorre analizzare determinati aspetti di rischio ambientale.  Vale la pena citarne uno solo: non si parla di salute umana, che rappresenta o dovrebbe rappresentare  invece il cardine della scelta del sito.

Non se ne parla anche se in alcuni dei pareri ministeriali espressi nel lungo iter procedurale di approvazione  del Piano Nazionale e della CNAPI se ne faccia menzione e sia stato considerato come parametro ineludibile. La Sogin sembra voler rimandare l’analisi del problema sia di fatto, negando rischi di contaminazione, sia relegando l’analisi del problema ad una VIA successiva, quando il sito sarà stato definitivamente scelto. Ma allora sarà troppo tardi per discutere e riguadagnare posizioni di ragionevolezza per chi ne sarà colpito quasi impossibile.

Questa trascuratezza appare ancora più difficilmente interpretabile alla luce della lettura del Parere  n 2577 del 12 dicembre 2017 della Commissione Tecnica di verifica dell’Impatto Ambientale VIA-VAS e del decreto 340 del 10 dicembre 2018 del Ministero dell’Ambiente di concerto con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. In questi documenti sono contenuti raccomandazioni, condizioni e osservazioni al Programma Nazionale per la gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi e al Rapporto Ambientale e al Piano di monitoraggio  ad esso correlati,  fra le quali la valutazione della salute pubblica, la necessità di indagini epidemiologiche da effettuare prima della realizzazione del Deposito e da monitorare durante la fase di esercizio, la definizione della radioattività naturale di fondo, le  analisi di impatti imprevisti e di incidenti rilevanti, sono richiamate più volte e vengono dichiarate ineludibili nell’iter  di approvazione  del Piano.

Questi rilievi, peraltro di mano statale, evidenziano che la “irrilevanza radiologica”   del Deposito Nazionale e della sua gestione è tutt’altro che una realtà acquisita sulla quale neanche si deve discutere, e che invece gli effetti eventuali sulla salute umana e sull’ambiente in generale vanno tenuti nella massima considerazione e proprio nella fase progettuale e prodromica alla identificazione dei siti idonei. Anzi la valutazione della salute umana e di tutti gli aspetti che la riguardano dovrebbe rappresentare un criterio di esclusione di un’area così come lo sono la sismicità o il rischio idrogeologico. Infatti così come per questi aspetti la Sogin ha fatto riferimento a banche dati riconosciute, lo stesso può fare riferendosi ai dati epidemiologici sulla incidenza dei tumori, patologie notoriamente connesse con la contaminazione da radiazioni, facendo riferimento ai Registri dei Tumori Nazionali , Regionali e Provinciali.  La valutazione preventiva di questo aspetto avrebbe potuto far escludere determinate aree, come quelle della Provincia di Viterbo, perché gravate da alti tassi di incidenza di tumori maligni.  In particolare la Provincia di Viterbo risulta interessata dai maggiori  livelli in Italia  di inquinamento da radiazioni da Radon, causa già ora degli elevatissimi tassi, i più alti in Italia, di leucemie e linfomi. Fatto questo, che da solo sarebbe in grado di far escludere l’intera Provincia di Viterbo dalle aree potenzialmente idonee  individuate improvvidamente dalla Sogin, come anche stigmatizzato dal recente documento dell’Ordine dei Medici della Provincia di Viterbo. Ma per la Sogin il problema non esiste perché il Deposito soddisfa, a suo parere,  il criterio di irrilevanza radiologica.

E’ iniziato quindi il confronto: si preparano le osservazioni e , stando alle carte, la materia su cui contendere è vasta. Nella Provincia di Viterbo i Comuni, avendo rinunciato di fatto a far fronte comune, si apprestano a sostenere le proprie ragioni, essendosi più o meno attrezzati a lottare con i propri tecnici di fiducia.  Partire divisi favorisce la Sogin, divide gli interessi, depotenzia le risorse-anche economiche-da mettere in campo per la difesa, a spese di  interessi che dovrebbero essere comuni e a favore di una difesa di campanile che finisce per rispondere al ruolo tristemente richiamato dall’abusato acronimo NIMBY, non nel mio giardino.

Sta quindi ai singoli Comuni, ai loro sindaci e a volenterosi cittadini o associazioni sostenere una lotta in partenza impari contro un colosso organizzato come Sogin, sostenuto dall’interesse dello Stato sulla questione. Ma non tutto è perduto per la Provincia di Viterbo e per Montalto di Castro, l’area più gettonata della Provincia: occorre aver fiducia nell’intelligenza e nella determinazione di coloro che si apprestano a sostenere questo confronto che è motivato da ragioni fondate, dalla ricerca di giustizia e dalla volontà di salvaguardare un territorio e il futuro delle generazioni a venire.

firma di giorgio